sabato 2 luglio 2016

PARAFRASI DELLA PREGHIERA DI VOLTAIRE

Parafrasi della preghiera di Voltaire



Possa il grande Yahwéh, Dio Padre, Gesù Figlio, l'illuminato Spirito Santo, Allah o chiunque esso sia che mi ascolta, che non può essere nato da una fanciulla, né essere morto su di un patibolo, né essere mangiato in un pezzo di pasta, né aver ispirato sacri libri: la Bibbia o il Vangelo, né recitato il Corano a Maometto, tutti zeppi di contraddizioni, di menzogne e di errori, possa questo misterioso Dio, supposto creatore di tutti i mondi, aver pietà di ebrei, cristiani, islamici e di tutte le sette fanatiche che lo nominano e lo pregano invano, nei secoli dei secoli, prima di scannarsi fra loro! 
Possa egli ricondurli alla religione del Buon Senso e della Saggia Ragione, e spargere le sue benedizioni sugli sforzi che noi diversamente credenti facciamo per non farlo adorare!

Amen!



  Lucio Apulo Daunio














lunedì 23 novembre 2015

BREVI CONSIDERAZIONI SULL'ISLAMISMO



BREVI CONSIDERAZIONI SULL’ISLAMISMO

 "Rari e felici i tempi in cui è permesso di pensare ciò che si vuole, e di dire ciò che si pensa" (Tacito, Historiae, I,1)

LA CRITICA NON CONOSCE TESTI INFALLIBILI (Ernest Renan)



L’islam è composto da una complessità e da una varietà d’interpretazioni, correnti, etnie, scuole giuridiche, tradizioni locali, gruppi religiosi (differenziati in Sunniti, Sciiti e altre minori sette, spesso in conflitto tra loro per l’egemonia politica).

La cultura islamica condiziona il musulmano a una perenne sottomissione ad Allah. Ogni azione compiuta dal musulmano deve conformarsi alla volontà di Allah: al Corano rivelato al Profeta Maometto. Azioni, abitudini, consuetudini, stili di vita, modi di vestire e di alimentarsi, manifestazioni artistiche, ordinamenti politici e giuridici, insomma, tutta la vita del musulmano deve essere perenne devozione ad Allah.

L'autorità politica e religiosa islamica fa derivare il potere direttamente da Allah, non da una libera determinazione della volontà contrattuale di una comunità. Il potere assoluto di Allah, inoltre, non può essere soggetto a limitazioni. L'uomo educato alla razionalità, invece, non può accettare che vi sia una Verità Unica, ma soltanto quella che egli coglie nei limiti della propria ragione, indipendentemente da un'autorità religiosa.

Maometto non è stato l’ultimo profeta, come recita il Corano. Altri sedicenti profeti, guerrieri o pacifisti, successori o meno di Maometto, sono apparsi nel mondo a recitare farneticanti sproloqui che, in fede loro, deriverebbero direttamente da pretese entità divine. Di profeti, messia, incarnate divinità, carismatici e santoni di ogni tempo e luogo, l’umanità dell’età della ragione e del sapere scientifico non ha bisogno.

L’attività di legislazione di carattere patriarcale, intrapresa dal Profeta Maometto, influenzato dalle sue pluriennali visioni, fatte credere di provenienza divina, è stata poi recepita nell’ordinamento giuridico dei diversi stati di religione islamica. I principi desunti dal Corano, essendo creduti parola infallibile di Allah, valida in ogni tempo e luogo, non possono essere esplicitati in altre possibili interpretazioni. Ne consegue che il testo coranico, scritto in epoca medievale, non sarebbe suscettibile di modernizzazione. Ciò implica l’impossibilità di pervenire almeno alla distinzione, se non alla separazione, tra Stato e credo religioso. Ne consegue che la giurisdizione religiosa impedisce la formazione di una legislazione laica, che si spinga di là della tradizione (c.d. “Sunna”, contenente fatti e detti del Profeta) e di là dei principi normativi indotti dalla credenza religiosa, fondata sulla sacralità di un sempiterno testo, intangibile per gli infedeli, copia del prototipo celeste del Corano.

L’umana razionalità non può giustificare una cieca obbedienza a un testo religioso, ritenuto sacro in forza di una credenza, con la quale si presume che in esso siano stati trascritti comandamenti provenienti dall’alto, cioè da una supposta, invisibile, immaginifica divinità, che imporrebbe una pretesa assoluta autorità in tutti i campi della vita. Manipolazioni interpretative del testo coranico, inoltre, possono determinare comportamenti aggressivi nella convinzione di obbedire ad un presunto volere di Allah.

Il terrorismo, come forma patologica di opposizione politica all’interno e all’esterno dell’islam, è una sfida allo Stato laico. La politica del terrore messa in atto dal sedicente Stato islamico “ISIS” (altrimenti detto “Daesh”), si caratterizza per essere una forma patologica di opposizione politico-religiosa. Il terrorismo è una sfida sia alla modernizzazione dell’Islam (vista come infedeltà a una pretesa interpretazione ortodossa) sia alla civiltà c.d. “occidentale”. In verità, se Allah fosse realmente un’entità esistente, non avrebbe bisogno di canaglie per eseguire le sue sentenze contro chi ha opinioni divergenti dalle sue. Allah, però – ci fa sapere Maometto, (sura 11, 118) – ha consentito che ci fosse una pluralità di fedi religiose, escludendo vincoli di obbedienza ad una sola fede (sura 2, 256).

Il principio di libertà religiosa e quello di libertà di pensiero è stato recepito nella Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 18), proclamata nel 1948. Non pare che tali principi siano stati ampiamente recepiti nella Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo del 1981, dove sembrano prevalere i diritti di stampo patriarcale della comunità musulmana rispetto ai diritti delle donne e delle altre minoranze. Il principio coranico, che gli uomini siano un gradino superiore alle donne (sura 2, 228), ad esempio, impedisce la modernizzazione del diritto di famiglia e l’attuazione dell’effettiva parità fra i due sessi.

Può un musulmano apostatare dalla propria fede? Secondo alcuni versetti coranici, l’apostasia nuocerebbe soltanto all’apostata, perché esso subirà l’eterno castigo nel fuoco dell’inferno. Altri versetti, invece, sono interpretati a favore della pena di morte per l’apostata. Anche nell’Antico Testamento (Dt 13), accolto dal cristianesimo, era sancita la pena di morte per lapidazione, se falsi profeti, parenti e persino intere città avessero apostatato in favore dell’idolatria. Tale norma biblica, per grazia di Dio e volontà dell'uomo, è andata in desuetudine.

L’islamismo è un’ideologia che mira ad annullare le fondamentali conquiste della modernità liberaldemocratica, come i principi dell’intangibilità della vita, della libertà, della proprietà, della persona, della parità dei diritti tra uomo e donna, costituzionalmente garantiti. L’islamismo è l’ideologia cui s’ispira il Califfato: anacronistico modello politico adottato dai successori di Maometto e caratterizzato da una concezione assolutistica e teocratica del potere. Il Califfato, istituzione umana sorta dopo la morte del Profeta al fine di realizzare l’unità politica e religiosa dei musulmani e delle popolazioni conquistate con la guerra, impose la supremazia della legge islamica dedotta dall’interpretazione del Corano. Il Califfo, comandante in capo della comunità dei credenti, si auto-costituì come vicario di Allah sulla Terra. L’odierno sedicente Califfato,"ISIS", votato a difendere una sua interpretazione del Corano, diretta a qualificare l’identità culturale-politica-religiosa dell’islam, e a imporre ciò che esso crede siano i fondamentali sacri valori dell’islam, investe nella comunicazione mediatica in forma particolarmente aggressiva e spettacolare, incidendo sull’immaginario collettivo e demonizzando il culturalmente diverso allo scopo di legittimare l’uso della violenza e la guerra su scala mondiale contro l’Occidente e i musulmani modernisti. La conseguenza che ne deriva è l’esacerbazione dell’incomprensione fra due civiltà e culture, percepite dall’una e dall’altra parte come diverse o addirittura inconciliabili quanto alle visioni del mondo, agli stili di vita, ai valori, ai fondamentali diritti umani. L’Occidente, sia chiaro, non potrà mai rinunciare alla cultura liberale e ai diritti della persona umana, duramente conquistati durante la sua lunga evoluzione storica.

L’islam radicale pare sia nato in Egitto con la formazione del movimento populista dei Fratelli Musulmani, il cui programma annunciava che il loro fine era Allah, il loro modello Maometto, la loro costituzione il Corano, la loro via il jihad, la loro speranza il martirio. Movimenti analoghi si formarono sia in Pakistan sia in India. Comune programma di tali movimenti consiste sia nel re-islamizzare la società musulmana, che a loro parere avrebbe deviato dalla fede originaria, sia nel combattere gli infedeli che calpestano o meno il sacro suolo dell’islam. Il radicalismo islamico, in nome della purezza della fede, nella sua lunga metamorfosi storica, ha prodotto escrescenze composte da nuclei autonomi di combattenti, disseminati per tutto il mondo, eccitati dall’obiettivo di raggiungere tramite il martirio l’allettante Paradiso promesso da Allah e dal suo Profeta a chi si priva della propria vita per uccidere infedeli e musulmani devianti. In verità, ad essere deviante, data l’assenza di un’autorità religiosa gerarchizzata, è la fanatica ortodossia degli islamisti, che vogliono obbligare tutto il mondo alla sottomissione a un’altolocata pretesa divina sovranità e a vivere in un ordinamento statale globale prettamente etico, disciplinato dal Corano. Fanatismo e intolleranza contribuiscono a plasmare la mentalità e le coscienze degli islamisti in modo forte e duraturo.

Testo fondatore dei vari fondamentalismi islamici è il Corano. Gli islamici che si richiamano al fondamentalismo (cioè alla scrupolosa osservanza del messaggio coranico) si autostimano come eletti che lottano contro un mondo c.d. “occidentale”, corrotto dalla secolarizzazione e dalla modernizzazione. Il loro scopo è l’abolizione del diverso, considerato come nemico, nonché impedire, in opposizione ai sistemi giuridici e culturali occidentali, la penetrazione nella umma musulmana, governata dalla sacra legge coranica, di idee e principi propri della modernità. Nella concezione fondamentalista, fede-cultura-politica coincidono, ossia sono interconnesse, identiche. Il fondamentalismo non accetta né la laicità, ossia la distinzione tra fede-cultura-politica, né tantomeno la loro netta separazione, cioè il laicismo. E' estranea al Corano l'idea di una separazione tra sacro e profano, tra religione e politica, tra stato e società: capo della comunità islamica è Allah, la sua sacra parola è legge assoluta, sia etica sia politica. L’ordinamento islamico, dunque, appare come formazione analoga al totalitarismo.

Tutti i musulmani possono essere fondamentalisti (indipendentemente dall’accettazione o meno dell’uso della violenza), se considerano infallibili i loro testi sacri, se pretendono l’applicazione integrale dei principi coranici, se ripugnano l’idea della laicità, se auspicano l’instaurazione del califfato e l’unificazione delle varie comunità islamiche sotto la sua guida, se si propongono di islamizzare il mondo intero. Ne consegue che il musulmano, che risiede nei paesi occidentali, non può che essere o fondamentalista (anche se non terrorista) o modernista (in quanto accoglie la distinzione tra fede religiosa e ordinamento statale, caratterizzato tra l’altro dalla tutela integrale dei diritti umani, ancorché discordanti con la legge islamica). Se per un musulmano è impossibile l’accettazione della laicità, egli resta intimamente fondamentalista, propenso ad ascoltare la sirena del radicalismo ideologico e, peggio ancora, quella del terrorismo suicida, plaudendo ai fratelli che si votano al martirio, motivati da un forte dovere religioso e dalla garanzia di poter accedere direttamente in Paradiso, dove Allah ha riservato per loro un posto privilegiato.

Le famiglie di religione islamica, immigrate negli Stati occidentali, possono integrarsi soltanto se accettano effettivamente le leggi e gli usi dello Stato che li accoglie. Hanno altresì il dovere di educare i propri figli aiutandoli a distinguere l’ambito del culto religioso da ciò che fa parte dell’ordinamento giuridico-culturale-laico dello Stato democratico in cui vivono, dove tutti hanno l’obbligo di osservare le leggi vigenti. Una simulata integrazione potrebbe esporre gli immigrati musulmani ad accogliere acriticamente la propaganda degli islamisti integralisti, che propagano l’odio contro i valori della civiltà occidentale con un linguaggio che tende a colpire l’emotività piuttosto che il raziocinio. Occorre tenere presente che negli stati di religione islamica la formazione educativa dei giovani, impartita fin dall’infanzia, è di rigorosa osservanza religiosa, secondo precetti coranici che delegittimano infedeli e atei e lasciano poco spazio a una concezione laica della vita. Negli stati islamici è inconcepibile affermare il diritto ad essere atei, pena la morte nell'aldiquà e l'inferno nell'aldilà. L’integrale osservanza della religione da parte dei musulmani potrebbe quindi degenerare nell’intolleranza e spingersi sino a prestare consenso a forme di proteste violenti ed estreme contro il mondo occidentale. Su questo terreno fertile può facilmente far presa la propaganda e l’indottrinamento del radicalismo jihadista su giovani musulmani che non hanno ancora maturato una coscienza critica. Decisiva può essere l’influenza delle famiglie e degli imam così detti “moderati”, ancorché conservatori o tradizionalisti, nell’opera di de-radicalizzazione della gioventù musulmana, educandola alla civile convivenza, alla tolleranza, alla distinzione tra ambito temporale e ambito spirituale, all’accettazione del culturalmente diverso e, quindi, dello stile di vita dei paesi occidentali che li ospitano. Del resto, essere musulmano, ossia sottomesso alla legge di Dio, non significa essere anche islamista, che si prefigge di lottare mediante azioni terroristiche per instaurare una società islamica in cui applicare un’interpretazione letterale e rigorosa, ancorché anacronistica, della legge coranica. Lo scopo cui tende l’islamista integralista, infatti, è l’islamizzazione della modernità estesa a tutto l’ecumene, totalizzando l’ampliamento della c.d. “casa dell’islam” (dar al-islam o "casa della fede"), tramite la sottomissione della "casa della guerra" (dar al-harb o "casa della miscredenza").



Lucio Apulo Daunio

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mercoledì 29 ottobre 2014

IL PECCATO ORIGINARIO DI DIO


IL PECCATO ORIGINALE DI DIO

ATTO DI ACCUSA CONTRO DIO



Il peccato originale di Dio è la fonte del male nel mondo



Il Dio creatore non può essere prosciolto, davanti al tribunale umano, dell’addebito di essere Lui la genesi del male che grava sull’uomo e sul mondo. Lui è colpevole delle calamità naturali e delle infermità, spirituali e materiali, che incombono sull’umanità. In lui ha origine la violenza perpetrata dal genere umano, creato a sua immagine e somiglianza. Lui, perfettissimo onnisciente onnipotente, è colpevole di aver lasciato indifesi i nostri primi avi dalla malvagità di Satana, sua creatura. Lui, sommamente buono, è colpevole di aver consentito che la perfidia di Satana rovinasse l’ingenua felicità paradisiaca di Adamo ed Eva, pur essendo consapevole della loro debolezza. Dio si mostrò persino invidioso, quando constatò ciò che già preconosceva, cioè la perdita dell’innocenza (ingenuità) delle sue creature, che mangiando il frutto proibito acquisirono coscienza di ciò che è bene e di ciò che è male, divenendo così simili a Lui. Poi, temendo che potessero mangiare anche il frutto della vita e vivere in eterno, decretò che fossero scacciati dal Paradiso con la fiammante spada dei Cherubini, suoi servi. Adamo ed Eva furono esiliati sulla Terra a scontare una perpetua punizione, riversibile anche alla loro incolpevole discendenza (non fino alla terza o quarta generazione), consistente in sofferenze, infelicità e morte.

L’Essere supremo, onnisciente e onnipotente, aveva già preconosciuto anche l’atto di ribellione di parte degli angeli capeggiati da Satana, che da servi ubbidienti divennero malefici. Egli, pur castigandoli con la pena dell’eterna dannazione nell’Inferno, ha inspiegabilmente loro permesso, giacché spiriti depravati, d’insidiare la debolezza umana, inducendola al male.

L’Onnisciente è quindi imputabile di grave negligenza di omissione per non aver impedito, potendolo prevedere con certezza assoluta, un evento prevenibile. La colpa di Dio è di somma gravità, perché ha voluto che accadesse ciò di cui era conscio che sarebbe accaduto. Egli, Dio provvido, è corresponsabile delle azioni malvagie compiute e dai demoni e dagli uomini. A nulla varrebbe sminuirne la colpevolezza, adducendo a sua discolpa il fatto di aver contrapposto ai demoni gli angeli buoni, coadiuvanti degli esseri umani nella lotta contro le sataniche insidie.

A nulla servirebbe giustificarlo, contrapponendo a Lui, Dio buono, apportatore di salvezza, un Essere maligno, antagonista, di pari potenza, originario, increato, eterno, cui addebitare ogni potenza malefica (principio dualistico). Né può essere assolto, sostenendo che non ha voluto interferire sulla libertà d’arbitrio che ha concesso a uomini e angeli, giacché è responsabile di aver permesso l’esistenza del male, che invece si vuol rimettere alla libera volontà delle sue creature razionali, immeritevoli della fiducia che Egli ha riposto in loro. Infatti, pur ammettendo la responsabilità di ciascun uomo e di ciascun angelo ribelle, non possiamo escludere la responsabilità di Dio per grave volontà di omissione, dato che, volendo e potendo scongiurare un prevedibile infausto evento, nulla ha fatto per impedire che accadesse.

La responsabilità per omissione addebitabile a Dio non trova attenuanti nella sua sconfinata misericordia di redenzione (peraltro negata agli angeli ribelli) a favore degli immeritevoli uomini, spinta fino a sacrificare se stesso con il supplizio della croce tramite il corpo del Figlio Unigenito. Della divina redenzione, però, potrà beneficiarne solamente chi crederà nel Verbo incarnato, riscattando la sua colpa ereditaria mediante un sacro lavacro purificatorio, istituzionalizzato dalla Chiesa nel sacramento del battesimo. Ciò nonostante, l’uomo non è totalmente sanato dalla sua inclinazione al male, ereditata dal peccato originale, complice la seduzione del Maligno, solerte nell’attuare la distruzione delle opere di Dio, avendone il suo beneplacito.

Irrilevante è cercare di sostenere l’innocenza di Dio, presentandolo come l’Essere sommamente buono a cui non può essere addebitata la genesi del male, che è privazione del bene, e quindi riferibile a chi non vuole conseguire il bene. Ne consegue che la genesi del male sarebbe da addebitare al libero volere delle creature razionali, alla loro “mala voluntas”, alla loro incapacità a volere il bene. In tal modo, però, si sottovaluta l’originaria grave responsabilità di Dio, causa prima della causa del male.

I nostri primi avi, prima che conseguissero coscienza del bene e del male, erano sprovvisti di libero arbitrio, perciò non può essere loro addebitata alcuna colpa. La giustizia di Dio, inoltre, è iniqua, perché fondata sulla disparità di trattamento. Dio, infatti, concede a suo arbitrio la grazia giustificatrice, condannando all’eterna dannazione angeli satanici e quella parte dell’umana gente, non predestinata alla salvezza, contaminata dalla colpa originale, perciò passibile di pena.

A sua difesa si sostiene che se nessuna creatura, che si ribella a Dio, meriti il suo perdono, la grazia giustificatrice a beneficio di taluni è un dono gratuito elargito dalla divina bontà. Cosicché, la condanna irreversibile per gli altri, che non beneficiano della salvezza, sarebbe ascrivibile alla giustizia divina, non essendo dovuta la sua misericordia. Neanche, però, Dio si aspetti riconoscenza da chi subisce l’iniquo giudizio. Se la fede e la grazia sono doni che Dio elargisce a suo arbitrio a chi più gli è gradito, iniqua è la sua giustizia, il dare agli uni (gli eletti) e il rifiutare agli altri (i dannati) a parità di condizioni. Come un sadico dittatore, con il suo incomprensibile e arbitrario disegno salvifico, Dio gode nel vedere la tribolante umana gente, trepidante per l’incertezza della propria sorte.

La totale subalternità dell’uomo alla assoluta assolutezza di Dio si configura in un determinismo senza scampo. Il divenire della vicenda umana è già preconosciuto e deciso secondo l’insindacabile giudizio di Dio. Il Previgente e Onnipotente ha già prefissato come il tutto dovrà avverarsi, indipendentemente da ogni determinazione dei singoli esseri umani, la cui vicenda terrena risulta già programmata dal volere divino.

Nella logica della predestinazione, tutto dipende da Dio: ciò che dovrà accadere e ciò che non dovrà accadere. Ne consegue che la libertà umana di agire nel bene o nel male è pura finzione, essendo già preconosciuta dal Dio creatore, che “ab aeterno” ha la prescienza di ciascuna decisione umana. Egli, pur preconoscendo chi vorrà peccare, permette che ciò avvenga, né si premura per scongiurare che ciò accada.

Dio onnisciente è quindi responsabile di ogni malefico accadimento, poiché non provvede a evitare il male in virtù della sua onnipotenza e della sua assoluta bontà. La colpa di Dio consiste nel suo volere omissivo, giacché non interviene in soccorso di chi è predestinato all’eterna dannazione. A nulla vale la sua pretesa onnipotenza, essendo prigioniero della sua stessa volontà, incapace di modificare i suoi piani.

Solamente una cieca, incomprensibile fede può determinare l’uomo alla sudditanza di un Dio del tutto arbitrario, che avendo “ab aeterno” tutto previsto, lascia che tutto si verifichi, inclusa la ribellione degli angeli, il peccato originale, l’atroce supplizio della croce per il Figlio.

La ragione umana rifiuta di accettare che sia “giustizia” il giudizio arbitrario di Dio per l’umana gente, considerata la sproporzione tra la “laesio”, che Dio avrebbe potuto evitare solo se avesse voluto, e la “satisfactio”. L'uomo razionale rifiuta di sottostare al Verbo di un Dio incomprensibile, a credere in ciò che si rivela assurdo.

Dio, che incarica i demoni a istigare al peccato gli uomini, è responsabile per commissione della rovina escatologica di chi subisce tale prevaricazione. Il Presciente non poteva ignorare la futura ribellione di parte degli angeli. Dio, perciò, preconoscendola, preconosceva anche l’utilità che ne avrebbe potuto ricavare. Infatti, ha voluto gli angeli malvagi per servirsene. Ha voluto il male per contrapporlo al bene. Ha voluto i malvagi per soddisfare gli eletti del Cristo Redentore.


Dio è colpevole del proprio peccato originario.


 Lucio Apulo Daunio







lunedì 8 settembre 2014


DIO COME
ESPRESSIONE DELLA COSCIENZA UMANA


L’uomo ha conseguito, durante il suo lungo cammino dai primordi della vita, una consapevolezza di sé e del mondo esterno. É perciò provvisto di una vita interiore, di un pensiero con cui ragiona con se stesso. Manifesta altresì una vita esteriore, dialogando con il mondo esterno, da cui attinge conoscenze. La sua essenza non è solo ragione, ma anche sentimento, forza di volontà, istinto, carattere, personalità, intelligenza, passione.

L’uomo, dunque, non è solo un’espressione della ragione, ma anche delle suggestioni indotte da sentimenti e passioni scaturenti, in un determinato periodo storico, dai rapporti con il mondo esterno e con se stesso. Ha acquisito una coscienza con cui conversare, ma anche con cui fantasticare, inseguendo realtà immaginarie, fino a idealizzare un altro da sé. La coscienza è lo specchio interiore in cui l’uomo riflette la sua essenza. Avere sentore di sé, del proprio corpo, del mondo, ciò non implica necessariamente l’esistenza di una vitalità e di una realtà anche dopo la morte. L’intuizione del soprasensibile non implica l’esistenza effettiva di un Ente trascendente: ipostasi immaginifica, vana come i sogni della notte, dove tutto è confuso e tutto precipita nell'abisso del nulla con il risveglio della coscienza e della ragione. Oggettivandosi fuori di sé, l’uomo ha idealizzato la sua essenza, rappresentandola nella forma di un Essere divino, sovrumano e perfettissimo, presumendolo esistente, eterno, creatore del mondo. Ascrivendo degli attributi all'Ente pensato, ha creduto che esso esistesse realmente, in una diversa dimensione. Ha creato un’immagine irreale di sé, estraniata da sé, in cui ha proiettato illusorie qualità ideali e ne ha fatto oggetto di culto. Rappresentando la nebulosità dell'irrappresentabile con l'immaginazione, spazio senza limiti, ha creduto di vedere l’invisibile e sentire il non sensibile. Una divinità inintelligibile avvolge e stravolge l’uomo religioso durante la sua labile esistenza. L’opposizione tra uomo ed Essere divino è un’illusoria costruzione umana di un’entità astratta, modellata con l’immaginazione, da cui l’uomo fa dipendere la propria esistenza in questa e nell'altra vita.

Dio è ciò che la mente e il sentimento dell’uomo hanno rappresentato esistente oltre il reale. L’immagine psicologica dell’essenza divina, intesa come verità assoluta da cui attingere certezze, si concretizzata in una fede religiosa, che induce a credere in un mondo ultraterreno e in una vita eterna dopo l’infausta morte. La religione è caratterizzata da dipendenza e adorazione: l’una genera l’altra. Ciò che l’uomo desidera avere al massimo grado, lo immagina presente nell'onnipotenza dell’Ente divino. L’illimitatezza di Dio riflette i desideri innumerevoli dell’uomo. La presunta esistenza di un’essenza divina, in quanto ritenuta vera, è creduta anche reale, ma di una realtà trascendente, quindi extra fisica, dunque ipotetica. Ciò che si crede vero, si crede che sia anche esistente, ancorché in una diversa realtà, che può essere conosciuta anche indirettamente, come nel cristianesimo, tramite la “rivelazione” di un messia. Una vita d’eterna beatitudine in un mondo soprannaturale, in cui regna la divinità, non l’umanità, è l’agognata meta “post-mortem” del cristiano. La natura divina, sacralizzata e santificata, è opposta al mondo profano e peccaminoso. Quanto più si apprezza l’illusoria positività dell’Ente divino (ens rationis = puro pensiero senza concretezza), tanto più si disprezza la realtà, caratterizzata da negatività e limitatezze. L’inno trionfale dell’auspicata gioia paradisiaca, il “Gloria in excelsis Deo”, si leva dagli abissi della sofferenza umana. Nell'armonia di Dio, l’uomo religioso vede la conciliazione delle dissonanze del mondo. La credenza nell'assoluta eticità dell’entità divina è il riflesso dei sentimenti morali dell’uomo, la proiezione del suo dover essere in un essere eccezionale. Dio è ciò che l’uomo immagina più grande d’ogni realtà, un ente perfettissimo, una dimensione senza limiti temporali e spaziali (Anselmo d’Aosta). Egli è sempiterno, contrariamente all'effimera natura dell’uomo. É luminoso e splendente: è luce che illumina le tenebre e vede, e vedendo conosce, e conoscendo sa. È onniveggente e onnisciente. La sua onnipotenza è imperscrutabile. Il suo libero arbitrio è insindacabile. In verità, Dio è solo un nome prodotto dal “gioco” linguistico inerente alla speculazione religiosa: un’illusione, una speranza, una parvenza, un'oggettivazione dell’essenza umana idealizzata. Dal Logos, potente parola creativa di Dio (Verbo), si è fatto derivare l’esistente. L’infinita potenza di Dio è stata posta a fondamento di tutto il reale.

Dio, un concetto astratto, si concretizza nel cristianesimo come Ente invisibile (purissimo spirito), sussistente in tre distinte mistiche sostanze d’identica natura. Dall'autorevolezza della parola di un uomo, supposto messia, adorato come Figlio di Dio, i cristiani hanno creduto di trovare la salvezza per il genere umano, segnato da una presunta colpa originale. Dalla provvida sventura della passione di un uomo, il Cristo Gesù, hanno dedotto l’attuazione della redenzione: positivo riscatto dal negativo del mondo. Con la potenza del nome di Cristo, Figlio di Dio e lui stesso Dio, i suoi seguaci, titolati di sacralità, presumono di scacciare diavoli, compiere prodigi, redimere colpe e fare da tramite alle anime inquiete in cerca di beatitudini edeniche. In realtà, dal nulla oltremondano non può derivare qualcosa di concreto in virtù di un potere divino (ex nihilo nihil fit). Se di ciò che sappiamo non abbiamo certezza assoluta, figuriamoci se da ciò che non è si possa derivare qualche sapere. Tutto si compie non per intervento divino, ma in seguito a fenomeni di cui solo in parte se ne conoscono le cause; per il resto, la scienza formula solo ipotesi e continua a perseverare nella ricerca. L’esperienza del divino, in quanto fuori della concreta realtà, non rientra nell'ambito delle concrete possibilità conoscitive dell’uomo. Solo la realtà oggettiva è relativamente conoscibile e interpretabile. Dio è un concetto estraneo alla realtà oggettiva, un non-senso rivestito d’enfasi e caricato di significati. L’oltremondano è un insieme concettuale di parole e immagini costruite artificiosamente. Credere nella reale esistenza dell’aldilà è possibile in virtù di una fede religiosa. In realtà, l’Ente divino che si rappresenta nella mente è in relazione con l’immaginazione, non con l’esperienza. Dire che un asino vola, significa esprimere un concetto fittizio mediante termini che denotano cose e fatti concreti (ossia un asino e l’atto di volare proprio di certe specie d’animali). Dalla concretezza degli elementi non può desumersi la certezza espressa da un concetto. La fede in Dio, Verità Assoluta, al vaglio della ragione critica, è una contraddizione in termini, in quanto la fede implica credenza in un assunto, non certezza di una verità.

La fede cristiana è la credenza in una pretesa verità indiscutibile, rivelata da una supposta divinità umanizzata, testimoniata da testi inattendibili, tramandata dalla pervicace autorità di una Chiesa istituzionalizzata e legittimata. Non c’è garanzia che la verità rivelata nei sacri testi pervenga da Dio e non dalla testa immaginifica degli uomini. Le trascendenti verità della fede cristiana non si fondano su certezze fattuali, su ipotesi verificabili o falsificabili dall’esperienza effettiva, perciò non si prestano all’esercizio critico della ragione, all’obiettività di una valutazione. La fede assoluta in un assunto metafisico, non sperimentabile, non controllabile, non falsificabile, è una fede che non elimina l’errore, come fa invece la scienza. La fede implica la volontà di credere, ma questa non implica la verità delle cose, bensì l’opinione riguardo ad esse.

L’interesse della Chiesa ad evangelizzare il mondo intero consiste nell’imporre “erga omnes” il proprio modello etico, religioso, politico, come l’unico voluto da Dio per la nostra salvezza nell’aldilà. La Chiesa, in quanto istituzione storicamente determinata, giuridicamente riconosciuta, coadiuvata da fedeli gregari e da politicanti codini, è lo strumento con cui il clero attua il proprio dominio sulla collettività, plagiando le coscienze con il mito di Cristo, mediante un sistema formativo d’indottrinamento “ad hoc”. In quanto “ecclesia”, ossia comunità di fedeli, essa tende ad egemonizzare la collettività, invadendo il sociale e socializzando la religione. Il culto religioso rinsalda il legame dell’individuo con l’identità collettiva d’appartenenza ad un sistema sociale e culturale, espressione di un comune sentire, di un consenso collettivo. L’angoscioso bisogno degli uomini di conoscere il mistero d’essere nel mondo trova puntuale risposta nella verità assoluta di una fede rivelata. L’ideologia dominante della Chiesa, sia durante il lungo periodo medioevale sia in prosieguo di tempo, ha egemonizzato le istituzioni dello stato, la società laica, la cultura, imponendosi come unica vera religione, statuendo precetti e norme etiche obbligatorie. Le prescrizioni del cristianesimo cattolico sono inculcate nelle coscienze sin dalla tenera età, fossilizzandosi in imperativi categorici in funzione dei dogmi e dei culti sotto i quali si celano le forze occulte del potere clericale. I preti, come gli stregoni, s’arrogano un sapere magico, mascherato di sacralità carismatica, drammatizzata con le imponenti scenografie liturgiche, gli sfarzosi cerimoniali e i melodiosi canti gregoriani. Il magico rituale religioso è finalizzato a soggiogare la massa dei fedeli, inducendoli alla pietà verso il divino e all’obbedienza verso chi in terra lo rappresenta (spesso, come la storia documenta, indegnamente).

Dio, giacché immaginato come un essere perfettissimo, pura ragione trascendente e suprema legge morale, non può che amare se stesso e creare tutto in funzione della sua gloria. L’uomo, umiliando se stesso a causa della limitatezza e dell’imperfezione della sua natura, supplisce alle deficienze naturali, venerando l’egoismo di un Tutto irreale, un Nulla di fatto. Il bisogno d’immaginare un ente perfetto e potente sopperisce all’incompletezza dell’umana natura, tormentata dall’angoscia esistenziale, assillata dal dubbio e dalla paura dell’ignoto. Al lancinante dolore dell’esistenza, l'uomo trova conforto venerando un’illusione. Per tacitare il timore del precario e mutevole divenire, s’immerge nell’oscurità della superstizione, credendo di attingere sicurezza e conforto. L’ideologia religiosa, impregnata di teorie astratte, sublima la transitorietà della concreta esperienza, imponendo concezioni dogmatiche, certezze e valori assoluti, che determinano sicurezza all’agire dell’uomo. La fede cristiana si fonda sulla credibilità che le testimonianze delle Scritture siano attendibili e sulla convinzione di poter conoscere cose non viste, perché percepibili nel profondo della propria coscienza. Non è una libera scelta la credenza religiosa, se la volontà è condizionata in tal senso sin dall’infanzia.

L’ideologia cristiana, in quanto valore assolutizzato in forza di una fede rivelata da una pretesa divinità, è il metro con cui la Chiesa giudica l’agire umano, giustificandolo o criticandolo in rapporto alla conformità o non conformità ai propri dogmi e principi. I catechizzatori cristiani influenzano i comportamenti degli adepti imponendo il “cultus religionis”. L’egemonismo del cristianesimo, di una fede che si rinnova nella sua staticità, reinterpretando le sue pretese verità, ha dominato per secoli la cultura laica, subordinando lo stato ai suoi principi e contrastando la piena autonomia del potere civile rispetto a quello religioso. I suoi sistemi educativi e formativi sono finalizzati ad inculcare nella mente, sin dall’infanzia, norme e valori assoluti, condizionando i comportamenti e plagiando le coscienze. Il sistema di credenze religiose e i relativi valori etici, inculcati nell’animo degli adolescenti con parole suadenti sin dalla prima educazione, sono assimilati acriticamente, imprimendosi indelebilmente. L’educazione emotiva alla superstizione magico-religiosa del cristianesimo scolpisce la coscienza infantile, conformandola al sentire di una fede e asservendola, anche in età adulta, ad una stretta dipendenza alla sacralità cristiana. L’intelletto, soggiogato dal mito cristiano, è imprigionato nella gattabuia di una supposta verità rivelata da Dio. In realtà, una convinzione ideologica assoluta, fondata su una fede incondizionata in un’entità inesistente. Non è facile estirpare ciò che si è radicato in noi sin dall'infanzia. Le norme religiose, infatti, sono accettate come idee innate, naturali, che non richiedono punto un esame razionale o il sostegno di prove logiche. L’assolutismo religioso, in quanto ritiene d’essere universalmente valido, pretende d’imporsi a tutti. Non può scendere a compromessi con altre fedi, nei confronti delle quali alimenta il concetto di “diverso” fino all'estrema avversione per incompatibilità, se non addirittura fino alla repressione per necessità. Un acritico sistema educativo tende a degenerare in fanatismo e intolleranza. La storia è testimone della spietatezza criminale perpetrata nei secoli dalla violenza cristiana in nome dell’amore assoluto per un triste dio, inspiegabilmente uno e trino. Le mire politiche del cristianesimo, e del cattolicesimo in particolare, sono volte a condizionare il corso storico, nella sua totalità, per dirigerlo verso la propria meta, prefissata in ogni tempo con una sua specificità.  Dal sincretismo tra cultura religiosa e laica, conseguente all'alleanza fra trono e altare, il cristianesimo ha prodotto e adattato ai tempi una sua ideologia politica, auto-giustificativa, al fine di conquistare e conservare il potere sulle coscienze, legittimandosi. Persino una “sinistra” opportunista, convertita al buonismo, per acquisire un più vasto consenso popolare legittimante, si è aggregata al giogo del carro clericale, lasciandolo correre a briglia sciolta. Finanche filosofi che si dichiarano laici, poco attenti alle idee scientifiche, crocifiggono la ragione per cercare una fede smarrita, soffrendo sussulti e riflussi, “credendo di credere”, ossia d’illudersi di un Nulla, che sostituisce un vuoto mentale. Dio è la risposta irrazionale alle domande cui la scienza non può dare ancora una spiegazione plausibile. Solo con il supporto della ragione fondata sulla concretezza, l’uomo può ritrovare l’io alienato nell'altro da sé.



Lucio Apulo Daunio


domenica 16 febbraio 2014


CHE COSA E’ L’UOMO?


Che cosa è la specie uomo? L’uomo è il prodotto determinato dalla sua eredità naturale e dall’ambiente storico-culturale in cui è stato educato? E’ il protagonista della sua storia, personale e sociale, di emancipazione dai condizionamenti dello stato di natura e dell’ambiente culturale storicamente determinato in cui vive? C’è discontinuità tra il regno naturale e quello specifico dell’uomo? Ha una specifica particolarità naturale come ogni altro essere vivente, oppure ha qualcosa in più che gli consente di potersi svincolare dai condizionamenti naturali e storici? La sua mente è determinata dalla materia e dall’ambiente storico sociale in cui vive, oppure ha una sua autonomia, una sua libertà, una sua ragione critica, una specificità che le consente di trascendere, di oltrepassare i condizionamenti naturali e storici? Può evolversi dalla sua animalità, oppure tutto il suo modo di essere nel mondo è determinato alla nascita dalla sua innata eredità naturale e dall’ambiente culturale in cui è stato educato?

L’idea che l’uomo sia determinato dalla sua eredità naturale può degenerare nella credenza che, per natura, ci sarebbero dei buoni e dei cattivi, degli eletti e dei tarati, e che le capacità mentali dell’essere umano derivino prevalentemente da fattori ereditari, piuttosto che dall’influenza dell’ambiente in cui vive e dall’educazione culturale acquisita, sia individuale sia sociale.

La concezione meramente materialistica e deterministica, nel senso che tutto il modo di essere dell’uomo è programmato esclusivamente dalla natura e dall’ambiente storico-culturale, può degenerare nella negazione della libertà umana. Il libero arbitrio dell’uomo sarebbe quindi un’illusione. Io penso che sia proprio la libertà specifica dell’uomo, rispetto agli altri esseri viventi, che gli dia adito a riflettere con spirito critico su se stesso e sul mondo che lo ospita, rendendolo libero da condizionamenti imposti dalla natura e dall’educazione. Ed è proprio questa specificità dell’uomo, la sua umanità, a separarlo dalla sua animalità e a determinare una sua propria etica. L’animale, invece, è guidato dall’istinto specifico della sua specie, che lo obbliga a un codice di comportamento. La condizione di libertà dell’uomo gli consente di svincolarsi da ogni condizionamento. La sua libertà di scelta, determinata dal suo spirito critico, lo separa dai condizionamenti naturalistici e culturali e gli consente di esprimere giudizi di valore universali, come quelli indicati nella Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo, validi per ogni persona, indipendentemente dalla sua appartenenza a una comunità etnica, religiosa, linguistica, nazionale. L’umanità, dunque, si differenzia dall’animalità in base al criterio della libertà, cioè della capacità d’interrogarsi sulla sua natura e di giudicare moralmente la realtà.

L’uomo, quindi, ha una sua specificità etico-culturale, che consiste nella coscienza di sé, ossia nella libertà di pensare con spirito critico e di interrogarsi, condividendo la sua esperienza con altri uomini. Ed è proprio questa sua libertà che consente all’uomo di costruire la sua storia nel mondo e fondare i suoi valori etici o commettere azioni malvagie.

L’etica aristocratica, fondata sull’ineguaglianza naturale nella ripartizione dei talenti, è elitista e naturalistica; perciò avvantaggia i migliori, dotati più degli altri di talenti naturali. La virtù dell’etica aristocratica consiste nel conseguire l’eccellenza mediante il talento innato. L’eccellenza è intesa come giusta misura, come perfezione della propria natura, come medietà tra posizioni estreme. Ciascuno deve trovare la sua sistemazione nella società secondo la sua natura innata.

L’etica meritocratica, fondata sulla competizione individuale, avvantaggia il merito piuttosto che il talento; favorisce il percorso formativo della personalità, piuttosto che i risultati conseguiti. Il merito consiste nello sforzo effettuato per superare i propri limiti, piuttosto che nella realizzazione delle proprie capacità innate. Il talento, essendo un dono naturale, non ha alcun valore etico di per sé. La virtù ora consiste nella lotta della libertà contro i limiti della natura umana, contro ogni forma di egoismo e d’interesse particolare, contro ogni condizionamento. L’etica meritocratica è un’etica democratica e i suoi valori sono l’altruismo, la solidarietà, l’azione disinteressata, l’interesse generale, l’universalità. La virtù dell’etica democratica implica quella del dovere, ossia la capacità di resistere alla nostra natura egoistica, all’animalità. Dobbiamo trovare proprio in noi le ragioni per superare i nostri personali interessi. E’ la nostra soggettività che decide in ultima istanza a cosa dare o togliere valore.

L’etica utilitaristica, invece, mira non alla realizzazione delle doti innate né al superamento di sé, ma al benessere personale, mentale e fisico. Lo scopo dell’attività umana consiste nel conseguimento della massima felicità per il maggior numero di persone. L’etica utilitaristica è dunque universalistica e contraria all’edonismo egoistico.

Se l’esistenzialismo è la filosofia basata sulla convinzione che l’esistenza preceda l’essenza, la filosofia cristiana, invece, ritiene che sia l’essenza a precedere l’esistenza. In altri termini, l’ente divino concepisce prima l’idea dell’uomo, della donna e dell’universo, cioè l’essere; poi mette in atto la creazione che li fa esistere. Ciò presuppone una finalità dell’essere, creato dall’artefice divino. L’essere umano e il cosmo così concepiti devono risponde a un obiettivo, compiere una determinata missione (per esempio, l’uomo è stato creato per servire l’ente supremo e obbedire alle sue leggi). Se, al contrario, nessuna essenza precede la sua esistenza, se l’uomo non è stato progettato per uno scopo e, quindi, non è stato creato per realizzare tale scopo, allora ne consegue che l’uomo è libero, non condizionato dai comandamenti divini, bensì padrone del suo essere nel mondo. La sua dignità è nella sua libertà, nel suo non essere determinato da essenze preliminari alla sua esistenza. L’uomo che, negando la propria libertà, assume in malafede determinati ruoli psicologici o sociali, identificandosi completamente in essi, trasforma la sua umanità in un oggetto. In tal caso, sarà il ruolo assunto dall’uomo a determinare la sua esistenza. L’essere umano autentico, quindi, non è chi s’identifica in un ruolo, ma chi, distanziandosi da sé oggetto, si pone come soggetto che riflette e giudica se stesso e il mondo. In questa distanza della coscienza, che è solo soggetto, dall’oggettività delle cose del mondo, l’uomo dà un significato alle cose medesime e toglie loro l’essere in sé. E’ l’uomo responsabile del mondo, di se stesso e delle scelte che assume. Il conflitto tra gli uomini sorge dai differenti significati che ogni uomo dà alle cose del mondo.

Se l’essere umano non ha un senso determinato a priori, deve dare da sé e per se stesso un significato alla sua vita. L’esistenzialismo, dunque, si pone in antitesi alla teologia e a ogni genere di metafisica, che cercano sempre la causa dei comportamenti umani fuori di loro. La conoscenza deve fondarsi sulla concreta rappresentazione della realtà, che abbia una validità universale, non invece sulla contemplazione metafisica, che prescinde da ogni possibile esperienza. Un concetto astratto, di cui non sia possibile avere alcuna immagine sensibile, resta del tutto incomprensibile e non concretamente rappresentabile nella coscienza umana. Il linguaggio metafisico, dunque, è irrazionale, giacché fuori dalle esigenze di comprensione e di senso che sono quelle della coscienza reale degli uomini.

                  

Per approfondimenti, si rimanda a:

Che cos’è l’uomo – Sui fondamenti della Biologia e della Filosofia

di Luc Ferry e Jean-Didier Vincent.

Presentazione di Salvatore Veca.